Napoli in un weekend: 10 luoghi da vedere.

Napoli è colore e sole, confusione e sorrisi, odori e sapori. Vedi Napoli e puoi muori diceva Goethe. Per mio conto, le prime ore in questa città sono state di totale stordimento.

Eppure sei di Roma! Non si capacitava Fabio. Diciamo ho avuto bisogno di un attimo per prendere le misure.

E poi ho compreso Napoli, la sua ricchezza, la sua bellezza, la grandiosità che si porta dentro, nell’anima.

Fondata dai Greci che già avevano dato i natali alla vicina Cuma, la colonia più lontana e la più antica della Magna Grecia. Era già una delle città più abitate del mondo nel XVI secolo.

Qui a Napoli ha sede l’università statale più antica del mondo, la Federico II. Una delle prime Accademie militari istituite nella storia, la Nunziatella. L’Orientale, l’università di studi orientalistici più antica d’Europa.

Capitale del Regno di Napoli per più di 500 anni e poi del Regno delle Due Sicilie. Uno dei principali porti del Mediterraneo e crocevia di popoli. Centro d’Europa e punto di riferimento culturale e scientifico per secoli.

Napoli è grande, grandiosa ed estrema. Spesso si dice che o si odia o si ama. Eppure ad ogni mio passaggio, m’innamoro sempre un po’ di più.

Del suo immenso patrimonio, della sua confusione, del suo senso di accoglienza. Del fatto che certe cose…solo a Napoli!

Se state pensando a dove trascorrere un bel week end, Napoli potrebbe regalarvi grandi emozioni.

Noi si è sempre andati a Napoli in treno. È comodo, ti lascia in centro città ed evita i soliti sbattimenti di parcheggio.

Per il resto abbiamo girato a piedi, ma siamo rimasti nella zona tra il lungomare, i Quartieri Spagnoli ed il centro storico.  

Centro storico di Napoli

Ci immergiamo nel centro storico percorrendo una delle sue vie principali: via dei Tribunali. Turistica e verace al tempo stesso, soprattutto la mattina presto.

Ci soffermiamo in piazza Cardinal Sisto Riario, uno degli angoli di Napoli che ha visto il passaggio di Caravaggio nel 1606.

Di fronte, infatti, c’è il Pio Monte di Misericordia che conserva le Sette opere di misericordia del Merisi. Uno dei suoi dipinti più famosi e che ebbe profonda influenza sulla pittura napoletana dell’epoca. (Qui trovi la nostra passeggiata alla scoperta di Caravaggio a Roma)

Nella piazza si trova Mission Impossibile, il murale di Roxy in the Box realizzato nel 2016. Raffigura San Gennaro e Caravaggio uno accanto all’altro come due conoscenti che commentano le notizie del giorno.

Mission Impossible di Roxy in the Box | ©Fabio Magno

Un personalissimo orizzonte pop, la tecnica dello stencil ed un profondo amore per questa città e le sue problematiche. Roxy in the Box punta l’attenzione su un’urgenza che oggi è sempre più attuale “lavoro per tutti”.

Napoli – Il Duomo

Passeggiando, arriviamo alla Cattedrale di Santa Maria Assunta. Siamo venuti per cercare di capire qualcosa in più di Napoli e così è stato.

Ci accoglie il tripudio di marmi, stucchi e dorature che è il contrassegno del barocco napoletano. Così ricco da mettere quasi soggezione al visitatore.

Nel duomo si trova la Cappella del Tesoro di San Gennaro. E se si capisce il legame fra i Napoletani e San Gennaro, si riescono a comprendere tante cose di questa città e dei suoi abitanti.

Cappella del Tesoro di San Gennaro

Nel 1526 Napoli viveva una congiuntura nera.

Le lotte tra Angioini e spagnoli per la città, il Vesuvio che eruttava e dava vita a terremoti quotidiani più una recrudescenza della peste avevano portato la popolazione sull’orlo della disperazione.

I Napoletani decidono così di fare un voto a San Gennaro, il santo protettore della città.

Ma la modalità è tutta particolare. Infatti si decide di sottoscrivere un impegno con il santo con tanto di notaio.

Il 13 gennaio 1527 da una parte le reliquie di San Gennaro e dall’altra gli “eletti di città”.

I rappresentanti dei cinque sedili nobili a cui si aggiunge un rappresentante del sedile del popolo si impegnano a versare, ciascuno, mille ducati per il tabernacolo e diecimila per la costruzione di una nuova cappella in onore del santo.

È il 1601 quando viene istituita la Deputazione, la commissione laica che ancora oggi si occupa della cappella. Sin dal principio ha lavorato perché la cappella fosse indipendente rispetto alla curia arcivescovile.

Il fatto più particolare, infatti, è che la Cappella del Tesoro di San Gennaro non è proprietà della Chiesa, ma di tutta la città di Napoli e quindi dei Napoletani.

Per decorarla vengono chiamati i migliori rappresentanti del barocco a partire da Guido Reni.

A Napoli, nel frattempo, era sorta la cosiddetta “Cabala Napoletana”, un gruppo segreto di artisti che mirava ad assicurare le migliori commissioni ad artisti locali. Ne facevano parte Jusepe de Ribera detto Lo Spagnoletto, Belisario Corenzio e Battistello Caracciolo.

Con atti intimidatori e minacce mettevano in fuga gli artisti provenienti da fuori come accadde al Reni. Si vocifera addirittura che il gruppo abbia causato la morte di Domenichino, avvenuta mentre era in città per la decorazione della Cappella del Tesoro.

Nella cappella oggi si possono ammirare i suoi affreschi e la cupola di Lanfranco.

Miracolo di San Gennaro

Tre volte l’anno Napoli si ferma per vedere se San Gennaro ripeterà o meno il “miracolo”.

Ovvero della liquefazione del suo sangue che, secondo la tradizione, credenti devote raccolsero subito dopo la sua decapitazione.

Ricorre il 19 settembre, giorno del martirio del Santo. Il sabato precedente la prima domenica di maggio quando si ricorda la traslazione delle sue reliquie. Ed il 16 dicembre, il giorno in cui, l’intervento di San Gennaro – nel 1631 – bloccò prodigiosamente un’eruzione del Vesuvio che aveva già investito Portici Ercolano e Torre Annunziata.

Altare della Cappella del Tesoro | ©Fabio Magno

Con un rituale di movimenti tramandato nei secoli, l’ampolla contenente il sangue rappreso del Santo, viene esposta ai fedeli.

Le “parenti”, donne napoletane di una certa età, intonano canti e invocazioni che discendono da un rituale antichissimo, per accompagnare l’adempimento del prodigio.

Per i Napoletani la liquefazione del sangue di San Gennaro è sempre sinonimo di buon auspicio.

Storia del duomo

Il cristianesimo sarebbe arrivato a Napoli, secondo la tradizione, direttamente con San Pietro, che vi avrebbe fondato la prima chiesa durante il suo cammino verso Roma.

Il duomo si trova su un’area destinata al sacro già nell’antichità.

La sua costruzione ingloba oggi la basilica di Santa Restituta, di origine paleocristiana. La prima basilica edificata a Napoli nel IV secolo e antica cattedrale.

Santa Restituta sorge sui resti di un antico tempio di Apollo. Insomma siamo in un’area sacra dalla notte dei tempi.

La costruzione del duomo risale al XIII secolo per volere di Carlo d’Angiò. I lavori si sono protratti nei secoli fino a sommare insieme testimonianze stilistiche diverse. Dell’edificio gotico sono giunti fino a noi splendidi lasciti di alcuni protagonisti assoluti.

Il portale centrale è sormontato dal gruppo della Madonna con Bambino di Tino da Camaino (1325 ca.). Suoi anche i due leoni che affiancano il portale.

Nella cappella Tocco (o di Sant’Aspreno) la parte inferiore conserva alcuni affreschi di Pietro Cavallini (1308 ca.).

Hanno lasciato traccia del loro passaggio Nicola e Giovanni Pisano e Giorgio Vasari nelle 4 portelle d’organo oggi esposte come quadri nel lato sinistro del transetto.

Le 4 portelle d’organo del Vasari | ©Francesca Boccini

Cappella Minutolo

E poi la Cappella Minutolo che mi ha lasciato letteralmente a bocca aperta.

È molto difficile trovarla aperta (accade di raro o in occasione dei matrimoni della famiglia che ne è ancora proprietaria), ma attraverso la cancellata si può godere della sua particolarità.

Molte fonti attribuiscono a Filippo Minutolo, arcivescovo di Napoli dal 1288 al 1301, il merito di aver ripreso i lavori di costruzione del duomo che si erano fermati dopo la morte di Carlo d’Angiò.

Cappella Minutolo | ©Fabio Magno

Il sepolcro dell’arcivescovo occupa la parete destra della cappella.

La cappella diventa famosa quando Boccaccio la inserisce nel Decameron. Nella quinta novella della seconda giornata narra l’episodio di Andreuccio da Perugia che si intrufola nella tomba per rubare l’anello cardinalizio.

Sulla parete sinistra, il sepolcro di Orso Minutolo. Protagonista dello spazio però è la sepoltura di Enrico (o Arrigo) Minutolo (1412), che vediamo sulla parete di fondo.

La cappella è un esempio straordinario: volte e pareti affrescate, compresi i costoloni; il pavimento cosmatesco con il simbolo araldico al centro; i sepolcri intarsiati ed arricchiti di colore.

Un gotico così non si vede tutti i giorni!

Non vi lasciate sfuggire, nella navata destra, la pala dell’Assunzione del Perugino (1506). Commissionata dal cardinal Oliviero Carafa per l’altare maggiore, è stata spostata qui nel 1744 per far posto al gruppo scultoreo dell’Assunta di Pietro Bracci.

Assunzione del Perugino | ©Francesca Boccini

Cripta di San Gennaro

Al di sotto dell’abside si trova la cripta di San Gennaro, detta anche Cappella del Succorpo. Voluta dal cardinal Oliviero Carafa, rispecchia a pieno lo stile rinascimentale dell’epoca (1497-1506).

È stata costruita per accogliere le reliquie di San Gennaro che dall’831 erano custodite – nascoste – nell’abbazia di Montevergine ad Avellino, di cui lo stesso Carafa era cardinale commendatario.

Al di sotto dell’altare sono conservate le sacre reliquie, mentre la statua raffigurata in ginocchio in preghiera è il Carafa, il cui stemma ritorna spesso nella decorazione della cappella.

Il progetto secondo alcuni è da attribuirsi a Bramante, in stretti rapporti col cardinale, anche se manca la certezza documentaria. Altri avanzano il nome di Tommaso Malvito, autore di diversi elementi dell’apparato decorativo.

All’interno della cripta riposano le spoglie del cardinal Carafa, nel lineare sepolcro marmoreo che si intravede alle spalle della statua inginocchiata in preghiera.

Dodici volti nel volto di Leperino | ©Fabio Magno

Quando l’abbiamo visitata, nelle nicchie perimetrali vi erano dei busti.

Si tratta di Dodici volti nel volto un progetto dell’artista contemporaneo Christian Leperino.

Volti contemporanei che dialogano in religioso silenzio con l’ambiente sacro. Volti in gesso realizzati da un laboratorio che Leporino ha svolto con alcuni detenuti presso la Casa Circondariale di Poggioreale. 12 volti che richiamano il numero degli apostoli, pilastri sui quali il Cristo ha costruito la sua chiesa.

Basilica di Santa Restituta

Dalla navata sinistra si accede alla basilica di Santa Restituta. Di origini paleocristiane, è la più antica basilica di Napoli.

La sua fondazione, nel IV secolo, è attribuita a Costantino. Fra le numerose cappelle che si aprono lungo il perimetro, si trova il battistero di San Giovanni in Fonte, il più antico di tutto l’Occidente.

Basilica di Santa Restituta | ©Fabio Magno

Rimaneggiata nel corso dei secoli è un documento straordinario di sovrapposizioni di stili. Dagli archi gotici che suddividono le navate, alla decorazione tardo-barocca della controfacciata a quella dell’abside.

Qui si trova il Cristo in trono duecentesco, contornato da Angeli in gloria del Cinquecento e sormontato dalla tardo-barocca Gloria del Salvatore di Nicola Vaccaro. Uno scenografico drappeggio sorretto da angeli (tutto a stucco) incornicia l’insieme.

Nella navata sinistra, la Cappella della Madonna del Principio. La sua abside è decorata con uno splendido mosaico trecentesco di Lello da Orvieto e raffigura la Madonna in trono con Bambino tra i santi Gennaro e Restituta.

Mosaico nella cappella della Madonna del Principio | ©Fabio Magno

Appena fuori, immersi di nuovo nella vivacità di via dei Tribunali, ci fermiamo un attimo in piazza dei Gerolomini ad ammirare la Madonna con la pistola.

È l’unica opera certa di Banksy a Napoli, oggi custodita sotto un plexiglass, di cui si prende “cura” la celebre pizzeria Il Presidente, proprio lì accanto. 

Madonna con la pistola di Banksy | ©Fabio Magno

Napoli – San Gregorio Armeno

La strada dei presepi, uno degli scorci più conosciuti di Napoli nel mondo e la via che collega via dei Tribunali a Spaccanapoli. Un concentrato di arte e artigianalità, di folclore e colore. Ci sono persone che vengono, ogni anno, apposta.

Via di San Gregorio Armeno | ©Fabio Magno

Durante una passeggiata a Napoli è un peccato non passare di qua. Anche perché siamo in una delle zone più antiche della città, quella in cui il reticolato delle vie è stato impostato secoli fa sulle regole dell’urbanistica greca.

Se avete tempo, visitate la chiesa di San Gregorio Armeno ed il suo chiostro che, pare, sia uno dei più belli di Napoli.

Una delle botteghe di San Gregorio Armeno | ©Fabio Magno

Secondo la tradizione, Elena – madre dell’imperatore Costantino – costruì una prima chiesa sui resti di un antico tempio di Cerere. Nel 930 nello stesso punto fu innalzato il complesso che, solo nel XIII secolo, venne intitolato a San Gregorio.

Alcuni sostengono vi sia un nesso tra l’antica usanza di donare delle piccole statue votive in terracotta alla divinità romana e la presenza di artigiani dediti all’arte presepiale nella via di San Gregorio Armeno.

Non sappiamo quanta verità vi sia in tutto ciò.

Quest’arte minuziosa si sviluppa a partire dal Settecento e trova uno dei suoi animatori e protagonisti delle origini in Giuseppe Sammartino.

Celebre per il Cristo Velato – una delle grandi attrattive della città, di cui parleremo sotto – dà vita a una scuola per artigiani del presepe, occupandosi lui stesso nella produzione di statuine di pastori angeli e tutti i personaggi colorati e definiti fin nei minimi particolari che animano il presepe napoletano.  

Il bello di questa parte della città sta nel fermarsi ad ammirare le statuine e le architetture, soffermarsi sulla straordinarietà dei particolari, anche i più piccoli creati dalle mani di sapienti artigiani che si trasmettono quest’arte di generazione in generazione.

Cappella San Severo

Quasi sempre si dice “andiamo a vedere il Cristo Velato”, la mirabile scultura realizzata dalle mani di Giuseppe Sanmartino nel 1753.

Oggi invece vi dico “andate a vedere la cappella Sansevero” che è uno straordinario “libro in pietra” con almeno tre livelli di lettura.

Artistico, biografico e massonico. Biografico nelle statue e ovali dei personaggi della famiglia. Massonico nel reticolo di allegorie e rimandi simbolici che la trasformano in un percorso iniziatico volto alla redenzione.

La sistemazione attuale risale agli anni ’40 del Settecento, voluta dal principe Raimondo di Sangro.

Si racconta che fosse un committente dalle idee così ben chiare che, in alcuni casi, gli artisti sarebbero stati dei meri esecutori delle sue idee.

All’interno della cappella non si possono fare foto o video (e noi siamo rispettosi).

Il consiglio è di prenotare per tempo l’ingresso e di andare a vedere con i vostri occhi quella che è una meraviglia per gli occhi e per l’intelletto. Oltre allo spettacolare Cristo Velato, soffermatevi sulla Pudicizia di Antonio Corradini (a sinistra dell’altare).

Dedicata a Cecilia Gaetani, madre di Raimondo. La lastra rotta, lo sguardo volto nel vuoto, l’albero della vita ai suoi piedi. Sono tutti elementi che sottolineano la sua morte prematura. Come la scena del Noli me tangere nel basamento. Ma al tempo stesso è anche Iside, la dea velata della fertilità e della scienza iniziatica, allegoria della sapienza.

Non perdete nella controfacciata la raffigurazione del “custode del tempio”. Ironica e noir al tempo stesso.

Piazza del Gesù Nuovo

Arriviamo in questa piazza dove si affaccia da una parte la spettacolare facciata della chiesa omonima caratterizzata da un possente bugnato. Dall’altra il complesso di Santa Chiara.

Risale ai primi decenni del Trecento, quando il re Roberto d’Angiò e la moglie realizzano una sorta di cittadella francescana con due conventi contigui, uno maschile (francescano) e uno femminile (clarisse).

Piazza del Gesù Nuovo | ©Fabio Magno

Chiostro di Santa Chiara

Che spettacolo per gli occhi, il chiostro di Santa Chiara. Un qualcosa di eccezionale ed unico. Meraviglioso!

Vale veramente la pena fermarsi per ammirare il Chiostro delle Clarisse meglio conosciuto come Chiostro Maiolicato.

Pilastri ottagonali nel Chiostro Maiolicato | ©Fabio Magno

Il Chiostro Maiolicato è uno dei 4 presenti nel complesso. È giunto fino a noi nelle sue forme architettoniche trecentesche.

Ma la sua peculiarità – l’esteso rivestimento a maioliche – si deve all’estro colorato e barocco di Domenico Antonio Vaccaro. Sua anche, tra il 1739 ed il 1742, l’aggiunta dei due viali che si incrociano al centro del chiostro e dividono il giardino in 4 porzioni.

Nel porticato, le pareti presentano affreschi della prima metà del XVII secolo con Storie francescane.

La parte verso il giardino, invece, così come i pilastri ottagonali che fiancheggiano i viali e le sedute che caratterizzano un po’ tutto lo spazio, sono rivestite dalle cosiddette “riggiole” maiolicate decorate da Donato e Giuseppe Massa, due noti ceramisti operanti tra le fine del Seicento e la prima metà del Settecento.

I pilastri ottagonali sono decorati con un motivo a festoni vegetali e sono collegati fra loro da sedute su cui sono raffigurate scene di vita campestre, popolare, mitologiche e marinare.

Divertitevi a cercare l’unico schienale che ripropone una scena di vita del convento in cui è raffigurata una clarissa mentre dà da mangiare ad un gatto!

Gli archi gotici del portico | ©Fabio Magno

Questa straordinaria opera decorativa si deve anche e soprattutto alla badessa dell’epoca, suor Ippolita Carmignano.

Pensando che fosse giunta l’ora di mettere fine al grigiore austero dell’architettura medievale del complesso ed in un moto di apertura verso il resto della città, appoggiò il progetto e si spese per trovare i fondi necessari.

Questa meravigliosa decorazione a maioliche illumina il chiostro ed i colori creano un ponte armonico fra i colori naturali del giardino e l’architettura che lo circonda.

Lasciamo il centro storico vero e proprio per scendere verso il mare percorrendo via Monteoliveto e raggiungiamo Castel Nuovo.

Dopo tanto sacro, arriviamo nel regale. In questa parte di Napoli, nell’arco veramente di poche centinaia di metri, troviamo il Maschio Angioino, il Castello Reale e Castel dell’Ovo.

Napoli – Il Maschio Angioino

Fino al XIII secolo, quando gli Angiò salgono al potere, i re risiedevano o a Castel Capuano o a Castel dell’Ovo.

Nel 1279 Carlo d’Angiò ordina la costruzione della nuova residenza reale che al tempo stesso fosse anche fortezza e sorgesse in posizione strategica per la difesa della città.

Maschio Angioino | ©Francesca Boccini

Durante il regno di Roberto d’Angiò ospita personaggi di alto spessore artistico e culturale come Giotto, Boccaccio e Petrarca, assumendo anche il ruolo di centro culturale.

Con gli Aragonesi, nel Quattrocento, si ha un accentuarsi dell’aspetto fortilizio della struttura. Alfonso ricostruisce di sana pianta il castello affidando i lavori ad un architetto spagnolo che propone un progetto dalle linee gotiche di stampo catalano.

Sempre ad Alfonso si deve la realizzazione dell’arco di trionfo che si innalza fra le due possenti torri cilindriche, con il quale celebrava il suo trionfale ingresso in città.

Le possenti mura, le mastodontiche torri, il fossato. Tutto nella fortezza aragonese parla la lingua delle grandi corti del rinascimento.

Proprio qui infatti, secondo la volontà di Alfonso, doveva risiedere la sua che – a quanto pare – poteva rivaleggiare con quella di Lorenzo de’Medici.

Oggi ospita il museo civico.

Galleria Umberto I

Prima di proseguire verso il Castello Reale, facciamo un giro in Galleria Umberto I, di fronte al teatro San Carlo, uno dei tempi dell’opera lirica.

Ma non solo. Perché a due passi dall’ingresso della galleria su via di Santa Brigida, nel 1890, si inaugura il Salone Margherita.

Doveva ospitare i concerti di musica da camera, ma nell’arco di pochi mesi si converte al café-chantant parigino diventando immediatamente uno dei luoghi simbolo della Belle époque napoletana.

Nella galleria, realizzata tra il 1887 e il 1890, era normale trovare attori, musicisti e direttori d’orchestra in cerca di qualche contratto o piccole compagnie teatrali in attesa di impresario.

Era il luogo dove tutte le informazioni e gli aggiornamenti sull’attività teatrale in genere passavano in anteprima.

Napoli – Piazza del Plebiscito

Giunti in piazza del Plebiscito si rimane sempre colpiti dalla sua immensità.

La conformazione attuale però è abbastanza recente e risale al periodo della Restaurazione, quando il Borbone, Ferdinando IV, torna sul trono di Napoli dopo la parentesi murattiana.

Siamo nel 1815 ed il re, come ex voto per aver riconquistato il regno, decide la costruzione dell’imponente basilica reale pontificia di San Francesco di Paola, l’edificio che abbraccia la piazza su un lato.

La Basilica di San Francesco da Paola in piazza del Plebiscito | ©Fabio Magno

Il grande porticato era già presente. Faceva parte di un progetto urbanistico ordinato da Murat negli anni precedenti, al centro del quale avrebbe dovuto sorgere un’aula circolare destinata alle assemblee pubbliche.

I lavori per il nuovo edificio sacro iniziano nel 1816 e vengono portati a compimento nel 1846, rispettando alcuni vincoli imposti dal re (ad esempio che l’altezza della cupola non superasse quella del Palazzo Reale) ed ispirandosi ad un neoclassicismo che richiama fortemente le linee del Pantheon romano.

Palazzo Reale

In qualche maniera segna il passaggio dal regno degli Aragonesi ai conquistatori successivi: gli spagnoli.

Venendo meno al Trattato di Granada formato nel 1500 che prevedeva la spartizione della città fra francesi e spagnoli, quest’ultimi nel 1503 conquistano la città e ne mantengono il potere per i due secoli successivi.

Nasce il regno dei Viceré. La sua costruzione inizia nel 1600 e per assumere l’aspetto attuale solo nel 1858. Nei decenni vede al lavoro alcuni dei più illustri architetti italiani: da Domenico Fontana a Vanvitelli.

Palazzo Reale | ©Fabio Magno

Oggi è musealizzato e si possono visitare i suoi appartamenti, con gli arazzi, gli arredi, le opere d’arte con cui i signori che hanno abitato queste mura nei secoli hanno deliziato la loro vita.

Ma è anche sede della Biblioteca Nazionale ed uno spazio espositivo.

Entrate nel cortile d’onore e troverete una sorpresa. All’inizio ci ha spiazzato un attimo, ma poi ci ha fatto comprendere la grande capacità di accoglienza di Napoli.

Almost Home

Nel cortile infatti è esposta la casa in cui Rosa Parks, l’attivista per i diritti civili, visse due anni a Detroit, in fuga dall’Alabama.

La prima donna afroamericana che si rifiutò di cedere il suo posto sull’autobus ad un bianco. Era il 1955, a Montgomery Alabama).

Vi chiederete, come abbiamo fatto noi, che ci faccia qui, nel cuore del Mediterraneo. Almost Home – The Rosa Parks House Project è il progetto dell’artista statunitense Ryan Mendoza.

La nipote di Rosa Parks aveva cercato di salvare l’abitazione dalla demolizione, acquistandola e lanciando una raccolta fondi per la sua ristrutturazione, senza successo. Dopo aver conosciuto il progetto The White House di Mendoza, in cui l’artista aveva riadattato la facciata di una casa di Detroit per poi esporla all’Art Rotterdam, decide di donarla a lui.

Così Mendoza, comprendendo il suo profondo valore simbolico, nel 2016 la rimonta nel suo giardino a Berlino, per poi esporla al WaterFire Art Center di Providence ed infine portarla a Napoli.

Ryan Mendoza è molto legato alla città, in cui ha abitato dal 1992 per quindici anni. Diciamo che è stato il primo artista residente della Fondazione Morra Greco prima che la fondazione prendesse forma.

Napoli gli ha spalancato le braccia e lo ha accolto, ospitato, è stato il teatro in cui la sua figura d’artista ha preso forma. E lui ha ricambiato l’affetto che la città gli ha dato, esponendovi temporaneamente il suo progetto Almost Home.

Quasi casa, perché la volontà dell’artista è quella di riuscire, chissà quando, a riportarla negli Stati Uniti. Magari a Montgomery dove con il gesto di Rosa iniziò una storia che si sta ancora scrivendo.

L’esposizione, inaugurata nel settembre 2020, avrebbe dovuto concludersi il 31 dicembre. Ma è stata prorogata. Spero che abbiate la fortuna di trovarla ancora nel cortile d’onore di Palazzo Reale.

Napoli – Castel dell’Ovo

Attraversiamo lentamente i Giardini del Molosiglio e ci godiamo lo spettacolo del Vesuvio che domina Napoli che si allunga pigramente verso il mare, con lo sguardo che prosegue lungo tutta la costa fino alla penisola sorrentina e Capri che si affaccia timida tra la foschia del mattino.

O’ Vesuvio | ©Francesca Boccini

Scendiamo sul lungomare e raggiungiamo l’area dove nell’VIII secolo a.C. i Cumani fondano Parthenope.

Castel dell’Ovo, il castello più antico di Napoli, si trova sull’isolotto di Megaride, una propaggine del Monte Echia – uno sperone di tufo che si innalza nella zona di Pizzofalcone.  

Pare quasi galleggi sul mare. È uno dei posti preferiti dai Napoletani, conosciuto come Borgo Marinari per la presenza del porticciolo.

Il porticciolo di Borgo Marinari | ©Fabio Magno

È un punto magnifico di Napoli. La sua bellezza l’aveva già carpita Lucio Licinio Lucullo che nel I a.C. vi aveva costruito un’enorme dimora con giardini pensili, allevamenti di murene e una biblioteca ricchissima. Secondo alcuni si estendeva dall’isolotto al Monte Echia e arrivava fino a Portici.

Castel dell’Ovo è legato a diverse leggende. Quella che vuole che qui sia approdata la sirena Partenope da cui prende il nome la neonata città fondata dai Cumani.

Castel dell’Ovo | ©Fabio Magno

E a Virgilio. Il grande poeta latino visse a lungo a Napoli. Era particolarmente amato e rispettato.

La leggenda tramandata racconta che avesse nascosto nelle segrete del castello un uovo e finché fosse rimasto integro, tutto sarebbe andato bene. Al contrario, grandi catastrofi si sarebbero abbattute sulla città.

Questa leggenda, legata ad una figura di Virgilio mago che si diffonde a Napoli nel Basso Medioevo, era considerata verità.

Tanto che, nel XIV secolo, quando crolla l’arcone ed il castello subisce notevoli danni, la regina Giovanna I deve giurare di aver sostituito l’uovo di Virgilio in modo che in città non si scatenasse il panico.

Via Chiaia

Torniamo verso l’interno abbandonando mappe o navigatore e prendendo strade a caso. In posti come Napoli c’è sempre qualcosa da vedere, anche se stai seguendo un itinerario. Uno scorcio, una bottega, un portone aperto.

Passiamo di fronte all’ennesimo ingresso della Napoli Sotterranea, ma non c’è tempo. Vogliamo tornare una volta per fare solo quello. Perché sotto c’è un mondo!

In via Nicotera, incuriositi dalla scritta Ascensore, ci affacciamo in un portone. E in un attimo siamo in via Chiaia, la via dello shopping di lusso, ma anche delle cravatte fatte a mano di Marinella.

Quello che stiamo cercando noi, però, è tutt’altro. Siamo pronti per immergerci nei Quartieri Spagnoli.

Napoli – I Quartieri Spagnoli

I Quartieri Spagnoli nascono nel Cinquecento per stanziarvi le truppe dell’esercito che il viceré spagnolo Pedro de Toledo voleva sempre pronte in caso di sommossa civile. Alcuni li definiscono il cuore di Napoli, altri l’intestino.

È la Napoli verace. Quella delle botteghe di pesce e verdure, dei sarti e dei calzolai, dei panni stesi e dei vicoli stretti e geometrici.

Da un lato il Vomero verso il quale le strade si inerpicano inesorabilmente, dall’altra via Toledo con le sue vetrine illuminate.

L’aria risuona solo dei clacson dei motorini che in un balletto magico sfrecciano in ogni via e in qualsiasi direzione. Senza mai scontrarsi.

Anche noi giriamo, guardiamo e alla fine ci ripaga con i suoi scorci, con le sue voci, con i mille progetti di street art che fanno parlare i muri.

Finché, eccolo qui. È del 1990 uno dei più famosi murales di Napoli, quando ancora questo genere artistico era una lingua che parlavano in pochi.

Realizzato da Mario Filardi in occasione del secondo scudetto del Napoli, raffigura colui che rese tutto possibile.

El Pibe de Oro, Diego Armando Maradona. I napoletani lo chiamavano Diego, così come parlano a tu per tu con San Genna’.

Maradona di Mario Filardi e Iside di Bosoletti | ©Fabio Magno

Oggi lo slargo in via Emanuele De Deo 60, dove si sono riunite decine e decine di persone al diffondersi della notizia della sua morte, è diventato un piccolo santuario dedicato a Maradona.

Accanto alla Mano de Dios, Bosoletti, nel 2017, ha lasciato una delle sue opere. E che opera!

È Iside, omaggio alla Pudicizia della Cappella Sansevero e alla potenza creatrice femminile. Il mistero la avvolge, come il velo che la ricopre. Possiamo intuirne la profonda verità, ma non la vedremo mai per intero.

Via Toledo e piazza Dante

Percorriamo via Toledo, sostanzialmente alla ricerca di Pintauro, ovvero il posto dove nasce la sfogliatella.

In realtà più che nascere, è importata. Dal signor Pasquale Pintauro che, nel 1818, la porta a Napoli da Conca dei Marini (Salerno) dove una monaca del convento di santa Rosa da Lima aveva creato questo dolce nel Seicento.

Pinaturo, però, è in chiusura stagionale e quindi tiriamo dritti fino a piazza Dante.

Ampia, scenografica e pedonalizzata è un vero e proprio salotto urbano.

Carlo I Borbone nella metà del Settecento commissiona a Luigi Vanvitelli la ristrutturazione della piazza esistente, Largo Mercatello perché fino alla fine del XVI secolo vi si teneva il secondo mercato cittadino.

Convitto in piazza Dante | ©Fabio Magno

La nuova piazza, realizzata fra il 1757 e il 1765, prende il nome di Foro Carolino con il grande emiciclo da un lato, addossato alle mura di epoca aragonese, e ben quattro chiese monumentali che si affacciano sulla piazza.

Al Convitto, intitolato a Vittorio Emanuele II, si accede attraverso una grande nicchia che, nel progetto originale avrebbe dovuto accogliere una statua equestre di Carlo Borbone.

Avrebbe completato l’apparato decorativo di cui fanno parte le 26 statue che sormontano le ali dell’emiciclo e che raffigurano le virtù del re committente.

Palazzo dello Spagnolo al rione Sanità

È d’obbligo chiudere questa nostra passeggiata per Napoli, con un’incursione nel rione Sanità alla scoperta di quello che è considerato uno dei palazzi più belli della città: il palazzo dello Spagnolo.

Si intravede dal portone di accesso al cortile, per poi mostrarsi completamente ai nostri occhi nella sua maestosa bellezza appena varcato l’ingresso.

Ingresso a palazzo dello Spagnolo | ©Fabio Magno

La sua costruzione risale al 1738, voluta dal marchese Nicola Moscati che aveva acquisito attraverso la moglie i due palazzi che occupavano il lotto in precedenza.

Il progetto è affidato all’architetto Francesco Attanasio, anche se molte voci ipotizzano vi sia la mano dell’architetto Ferdinando Sanfelice, il quale era al lavoro sul proprio palazzo a poca distanza da qui.

Documenti che attestino la sua partecipazione al progetto del Moscati non ci sono, ma la meravigliosa scala ad ali di falco suggerisce che un qualche legame con Sanfelice vi sia.

Palazzo di Spagnolo | ©Fabio Magno

Nel suo palazzo infatti si trova lo stesso tipo di scala a doppia rampa aperta. Ma nel palazzo dello Spagnolo ha guadagnato in leggerezza e ricchezza delle decorazioni rococò.

Questo spazio era stato progettato come luogo di incontro, una sorta di vero e proprio salotto in cui intrattenersi.

Ingresso personalizzato | ©Fabio Magno

Il palazzo prende il nome di Spagnolo nel 1813 quando lo acquista il nobile spagnolo don Tommaso Atienza e lo ha mantenuto nonostante i successivi cambi di proprietà.

Oggi il terzo e quarto piano risultano vuoti, in attesa dell’apertura del museo dedicato a Totò, nato a 300 metri da qui.

Totò di Blub | ©Francesca Boccini

Tra le parole illuminate di Napul’è di Pino Daniele finisce il nostro girovagare per Napoli che ci ha regalato luce e colori, rumore costante e musica in ogni angolo, ricchezza barocca sacra e profana.

Napoli ci lascia certezze. Una è che bisogna tornare, perché c’è tanto altro da vedere.

Un’altra è che è una città che accoglie. E quindi c’è tanto da vivere.


Napoli – I sapori nei dintorni

La riccia appena scesi dal treno da Cuori di sfogliatella.

La pizza margherita da Brandi perché la prima pizza mangiata a Napoli dovevo mangiarla dove è nata.

I taralli alla Taralleria Napoletana in via san Biagio dei Librai. Quelli ai friarielli sono da volare.

Un caffè seduti all’aperto davanti all’ingresso dell’Orientale, tra studenti che parlano di professori e corsi universitari.

Se andate a vedere Maradona ai Quartieri Spagnoli, fate una sosta da Ciccio Fri. Nasce come friggitoria, ma chiedete sempre i piatti del giorno. Pizza margherita fritta da sogno.

Prima di ripartire non sono contenta se non vado da Attanasio a fare a gara con il loro eliminacode pur di prendere le sfogliatelle da riportare a casa. Il mio consiglio è di optare per la frolla se non le mangiate immediatamente. II giorno dopo è ancora spettacolare.  

Per dormire consigliamo Quatrum, in un bel palazzo di fine Ottocento, a due passi dal Duomo. Prezzi leggermente sopra la media della zona, ma camere finemente ristrutturate ed arredate con gusto impeccabile decisamente retrò.


Napoli – Info utili

Ecco quanto ti serve per programmare la tua passeggiata a Napoli. Desideri saperne più? Commenta qui sotto o contattaci sui social! Apri la mappa qui sotto e ottieni il percorso.

  • Duomo Cattedrale di Santa Maria Assunta. Aperto: tutti i giorni. Orario: dalle 8.30 alle 13 e dalle 15:30 alle 19:30. Cappella del Tesoro di San Gennaro. Aperto: tutti i giorni. Orario: dal martedì al venerdì 9-13 e 14:30-18. Lunedì e sabato 9-13 e 15-18. Domenica 9-13 e 16:30-18. Biglietto: intero € 3,50, ridotto € 2, famiglia € 7, gratuito per residenti e nativi di Napoli. Battistero di San Giovanni in Fonte. Aperto tutti i giorni. Orario: dal lunedì al sabato 8:30-13:30 e 14:30-19:30. Domenica 8:00-13:00 e 16:30-19:30. Biglietto: € 1,50.
  • Cappella Sansevero. Aperto: tutti i giorni tranne il martedì. Orario: dalle 9 alle 19. Biglietto: intero € 8, soci FAI € 6, ridotto (10-25 anni) € 5, gratuito under 9.
  • Chiostro Maiolicato di Santa Chiara. Aperto: tutti i giorni. Orario: dal lunedì al sabato 9:30-17:30. Domenica 10-14:30. Biglietto: intero € 6, ridotto (insegnanti, studenti universitari, over 65) € 4,50, ridotto (soci FAI, ragazzi 6-17 anni) € 3,50.
  • Maschio Angioino (Museo Civico). Aperto: dal lunedì al sabato. Orario: dalle 8:30 alle 18:30. Biglietto: intero € 6, riduzioni di legge.
  • Castel dell’Ovo. Aperto: tutti i giorni. Orario: dal lunedì al sabato: 9-20. Domenica e festivi 9-18.

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