Velabro: una passeggiata nella culla di Roma.

Oggi vi portiamo con noi in una passeggiata al Velabro, in quella parte di Roma dove tutto nasce.

Siamo nel rione Ripa, nel centro storico di Roma tra il Campidoglio, il Palatino e l’Aventino. Qui, tra uno degli incroci più trafficati della città e angoli di pace assoluta, si concentrano le più antiche leggende legate alla nascita di Roma.

È una passeggiata tranquilla, un itinerario denso di storia e di storie.

Almeno in questo momento in cui il meteo di Roma regala giornate assolate con temperature fino a 35 gradi, il consiglio è di farlo nel tardo pomeriggio. Per poi godersi gli splendidi colori del tramonto.

La leggenda di Romolo e Remo

Abbiamo detto che qui è dove nasce tutto. Ovvero dove nasce Roma.

Il racconto mitico inizia con la fuga di Enea da Troia in fiamme, insieme al padre Anchise e al figlioletto Ascanio.

Giunto sulle coste del Lazio, l’eroe troiano si scontra con Turno, re dei Rutuli che regnavano sulla zona. Vittorioso, Enea fonda una nuova città, Lavinium mentre Ascanio, qualche anno più tardi, darà vita al suo regno con la fondazione di Alba Longa.

I discendenti di Ascanio si succedono negli anni, finché il regno giunge nelle mani di due fratelli: Numitore ed Amulio.

Numitore è il più anziano e dovrebbe ricevere il titolo. Ma Amulio lo usurpa dal trono e, per essere certo di non avere altri rivali, costringe Rea Silva, unica figlia del fratello, a diventare vestale e fare voto di castità.

Il dio Marte però si innamora di lei, tanto da circuirla in un bosco sacro e da lasciarla in attesa di due gemelli. Romolo e Remo appunto.

La giovane donna verrà sepolta viva per punizione ed il suo corpo gettato nell’Aniene. Racconta la leggenda che, però, il fiume ne ebbe compassione e la resuscitò.

Due schiavi ricevettero l’ordine di portare i gemelli nella parte più alta del Tevere e abbandonare la cesta alle correnti. I due ebbero pietà dei bambini e concordarono di lasciarli nel punto lungo la riva dove erano giunti. Qui il Tevere aveva straripato ed allagato i campi circostanti, la cesta così sarebbe stata al sicuro dall’impeto del fiume.

Quel punto era il Velabro.

Da qui poi, inizia la storia più famosa del mondo e che tutti conosciamo.

Li trovò una lupa che li salvò dalla fame, allattandoli. Per poi essere adottati dal pastore Faustolo e da sua moglie Acca Larenzia, che li crebbero come loro figli.

Quello che forse non sai? È verosimile che la leggendaria lupa altro non fosse che una meretrice.

Perchè? Perchè così, ossia lupe, erano comunemente chiamate

Lupa Capitolina | ©Francesca Boccini

Velabro – Foro Boario

È qui, quindi, che inizia la storia di Roma.

In questa palude, bonificata intorno al VI a.C. con la costruzione della Cloaca Maxima. Ma rimasta soggetta alle inondazioni delle piene del Tevere. Tanto che dopo quella disastrosa del 589, i romani spostano l’area commerciale; vi troveranno sede ideale alcuni ordini religiosi, dediti all’assistenza di pellegrini e dei più bisognosi.

Nella nostra passeggiata al Velabro ricalchiamo la terra del più antico cuore commerciale della Roma dei Re.

Dov’era il Foro Boario | ©Fabio Magno

Come lo sappiamo? Lo dice anche il toponimo. Velabrum infatti deriverebbe dal termine latino trasportare. Poi nel Medioevo sarà alterato in Vellum Aureum (che forse aveva attinenza con la grande comunità greca che vi risiedeva da sempre) e dal 1259 in Vellaranum.

Nell’ansa del Tevere si trovava il primo porto fluviale di Roma: il Tiberino.

I Templi di Ercole Vincitore e di Portuno | ©Fabio Magno

Siamo nel Foro Boario, di fronte alla Basilica di Santa Maria in Cosmedin. Oggi la sua memoria è affidata ai due bei templi di Portuno e di Ercole Vincitore. Perché oltre ad essere un’area commerciale, era anche sacra.

Nel Foro Boario avvenivano le contrattazioni del bestiame. Ma era anche un’area consacrata ad Ercole.

Secondo la tradizione, qui si trova il primo luogo di culto della storia della città ed era dedicato al semi-dio: l’Ara Maxima.

La leggenda di Ercole e Caco

La leggenda infatti narra che nell’area del Foro Boario, Ercole avesse condotto i buoi rossi consacrati ad Apollo che aveva sottratto a Gerione, nella mitica Isola di Eritea.

In una delle tante grotte dell’Aventino viveva Caco, antica divinità del fuoco che terrorizzava gli abitanti della zona. Caco rubò la mandria ad Ercole, cercando di confondere le loro tracce. Ma non ci riuscì. L’eroe riuscì ad individuare il nascondiglio, ad evitare le fiamme generate da Caco e a vincerlo, stringendolo così forte da fargli uscire gli occhi dalle orbite.

Particolare del Tempio di Ercole Vincitore | ©Francesca Boccini

Secondo alcuni l’Ara Maxima sarebbe stata innalzata proprio per ringraziarlo di aver liberato la zona del Velabro dalla feroce divinità.

L’Ara aveva dimensioni mastodontiche. Pare che fosse lunga più di 30 metri, larga oltre 20 e alta 4. Alcuni studiosi l’hanno identificata nella cripta dell’VIII secolo di Santa Maria in Cosmedin.

Velabro – Tempio di Portuno

Il Tempio di Portuno, quello a pianta rettangolare, era il tempio dedicato alla divinità a guardia del porto. Risale agli anni a cavallo tra la fine del IV e l’inizio del III a.C.

Come accade spesso a Roma, i significati si sovrascrivono. Ed il Tempio di Portuno dal IX secolo si è trasformato in chiesa cristiana, intitolata a Santa Maria Egiziaca.

Ha mantenuto l’aspetto esteriore, mentre all’interno sono ancora visibili gli affreschi della decorazione altomedievale. Nel 1916 è stato sconsacrato e riportato alla sua funzione originaria.

Velabro – Tempio di Ercole Vincitore

Il tempietto a pianta circolare è invece quello dedicato ad Ercole. È l’edificio in marmo più antico che si sia conservato a Roma.

Le fondamenta del tempio poggiano su una piattaforma in blocchi di tufo che inglobano lo sbocco della sottostante Cloaca Maxima

Tempio di Ercole nel Foro Boario | ©Francesca Boccini

Il tempio nasce dal progetto di un architetto greco, identificato con Ermodoro di Salamina, ed è stato realizzato in marmo del Peloponneso. Lo circondano 20 eleganti colonne scanalate con capitelli corinzi. Undici colonne e 9 capitelli risalgono al restauro voluto da Tiberio, perché in marmo lunigiano.

Dispute di attribuzione

L’attribuzione a Ercole è stata data sulla base di alcuni documenti che parlano di un tempio, fuori da Porta Trigemina, commissionato nel 120 a.C. da Marco Ottavio Erennio, un ricco commerciante romano che apparteneva alla corporazione degli oleari.

Di conseguenza la sua dedicazione ad Ercole, in questo punto della città, sarebbe sembrata scontata.

Non solo perché l’area era sacra all’eroe mitologico, ma anche perché era protettore delle greggi, dei commerci e degli oleari.

Per di più, un basamento di statua con la scritta Hercules Olivarius, rinvenuto nella cella interna, ha orientato la dedicazione.

Se così fosse, sarebbe testimonianza tangibile del potere che i commercianti avevano raggiunto all’epoca. Tanto da essere in grado di commissionare templi ad artisti greci.

Ma, c’è un ma… ci sono alcuni punti che non tornano.

Uno su tutti: i templi a base circolare erano tradizionalmente dedicati alle divinità femminili.

Ecco che alcuni propongono si tratti del Tempio di Vesta. Considerando anche che da quest’area partivano i cortei dei trionfi.

Inoltre, nel cortile intorno al tempio si è rinvenuta una fossa a forma di T.

Alcuni la identificano come la fossa in cui le vestali – donne consacrate alla dea Vesta e alla cura del suo fuoco sacro – accendevano i tizzoni da trasportare all’interno del tempio.  

Diciamo che l’attribuzione è una questione ancora aperta, almeno in ambito archeologico.

Anche questo tempio ha subito la trasformazione in chiesa cristiana.

Nel 1132 viene intitolata a Santo Stefano delle Carrozze, per divenire poi, nel XVII secolo, Santa Maria del Sole. Nel Novecento è stato sconsacrato e riconosciuto monumento antico nel 1935.

Basilica di Santa Maria in Cosmedin

Nella nostra passeggiata al Velabro, attraversiamo la strada e arriviamo in una delle mete turistiche principali di Roma.

Non tanto perché Santa Maria in Cosmedin è un piccolo gioiello di architettura romanica che conserva meravigliose testimonianze della superba arte dei Cosmati.

Ma perché nel suo portico si trova la Bocca della Verità.

Ora, non so dirvi, se sia stata la celebre scena di Gregory Peck e Audrey Hepburn in Vacanze Romane ad aver proiettato questo mascherone nelle cose da vedere almeno una volta nella vita.

Fatto sta che anche i primi turisti che tornano a Roma in epoca di Covid-19, fanno la fila solo ed esclusivamente per vedere la Bocca, passando distrattamente nella chiesa.

Turisti in fila alla Bocca della Verità | ©Fabio Magno

Della Bocca parliamo più avanti, perché il giro obbligato ci fa passare prima all’interno della chiesa. Ne rimaniamo affascinati.

Storia

La Basilica di Santa Maria in Cosmedin nasce su uno dei punti più sacri della città: là dov’era il primo edificio sacro dell’antica Roma. E in un’area dove si era stanziata la comunità greca residente a Roma.

Il nucleo originario, infatti, la diaconia di Santa Maria in Schola Graeca viene eretta per ospitare i pellegrini greci in visita a Roma.

Particolare del pavimento cosmatesco | ©Francesca Boccini

A Roma, tutto si riusa. Così questa prima costruzione ingloba già la Loggia, ovvero gli uffici amministrativi che si occupavano dell’approvvigionamento alimentare dell’antica Roma.

Rimangono a testimonianza le colonne della navata sinistra, della controfacciata e della sagrestia nella chiesa attuale. Sono enormi.

Nell’VIII secolo papa Adriano I commissiona la costruzione della nuova basilica. I lavori comprendono anche la realizzazione di una cripta. Questa sarà ricavata sfruttando l’antica Ara Maxima dedicata ad Ercole.

Ovviamente anche Santa Maria in Cosmedin subisce vari rimaneggiamenti nei secoli. Nel Settecento il cardinal Albani commissiona una nuova facciata dal gusto barocco e ordina la riapertura della cripta, la cui memoria si era persa nel tempo.

Infatti la basilica alterna momenti di splendore e declino a causa della posizione. L’area del Velabro, come già detto, continua nei secoli ad essere soggetta alle piene del Tevere.

Tra 1894 e 1899 l’architetto Giovan Battista Giovenale riporta l’edificio alle forme romaniche volute da Callisto XII. Ricompare cosi la facciata a capanna preceduta da un nartece (portico) ed il campanile a 7 ordini di trifore e bifore del XII secolo.

Interno

La titolazione in Cosmedin viene dal termine greco che indica ornamento. Infatti il suo interno è una piccola meraviglia.

Interno | ©Fabio Magno

La chiesa è suddivisa in tre navate scandite da colonne ed ognuna termina in un’abside.

Il pavimento è cosmatesco e le pareti dovevano essere ricoperte di affreschi. Ancora oggi è possibile vedere alcune porzioni di ciò che resta delle Storie dell’Antico e del Nuovo Testamento.

Resti di affreschi e della Loggia | ©Fabio Magno

Nella navata destra si trova la Cappella del Coro Invernale con una Madonna con Bambino dell’ultimo quarto del Cinquecento, attribuita a Antoniazzo Romano.

Madonna con Bambino | ©Francesca Boccini

Tre cappelle, invece, si aprono nella navata sinistra. La prima è il battistero della chiesa: vi si trova il fonte battesimale. La seconda conserva la reliquia del teschio di San Valentino.

Entrambe le absidi delle navate laterali sono decorate con affreschi Ottocenteschi. Quella di sinistra è dedicata alla Madonna di Loreto. Quella di destra a San Giovanni Battista.

La navata centrale presenta la schola cantorum che precede l’altare.

Quest’ultimo è rialzato e sormontato da un ciborio del 1294, opera di Deodato di Cosma. Le colonnine probabilmente sono di reimpiego del precedente ciborio. I pinnacoli sono decorati con un mosaico a fondo dorato, raffigurante l’Annunciazione.

L’altare contiene le reliquie dei Santi Cirilla, Ilario e Coronato donati da papa Callisto II quando, nel XII secolo, ha consacrato l’altare. Al di sopra, nell’arco trionfale, ancora sopravvivono porzioni degli affreschi dell’VIII e del IX secolo.

Alla cripta non è possibile accedere, in questo periodo. Ma è da vedere. Già si è detto, pare sia stata ricavata dalla celebre Ara Maxima dedicata ad Ercole.

Ingresso alla cripta | ©Fabio Magno

È l’unica cripta di Roma di epoca altomedievale che non presenti una forma semianulare.

È un ambiente suddiviso in tre navate suddivise da colonne di spoglio. Quella centrale termina in un’abside, mentre l’altare è del VI secolo.

Bocca della Verità

Seguendo il percorso obbligato, si giunge nel portico che precede la facciata, dove si trova la Bocca della Verità.

Tappa irrinunciabile per ogni turista che visiti Roma, un selfie infilando la mano nella bocca del satiro è d’obbligo come un timbro sul passaporto.

La verità brutale è che si tratta di un chiusino per far defluire le acque.

Un tombino insomma. Anche se della più antica rete fognaria mai costruita, la Cloaca Maxima.

In marmo, risale al IV secolo e vi è raffigurato il volto di una divinità fluviale. È stata collocata qui nel 1632 e vi era l’usanza di condurci coloro che dovevano giurare.

Si racconta infatti che chiunque infilasse la mano nella sua bocca e non fosse sincero, avrebbe visto l’arto tagliato. Come finse Gregory Peck ritirando la mano nella manica. Peccato che (pare) non fosse nel copione. Ecco il perché della reazione tanto realistica della Hepburn!

Si, è una leggenda, una storia per bambini, ma infilate la mano e dite una bugia: sentirete comunque un brivido lungo la schiena. Garantito. Non mentite.

Riprendendo la nostra passeggiata al Velabro, proseguiamo verso uno degli angoli più straordinari di Roma.

Velabro – Arco di Giano

L’Arco di Giano era il cuore delle contrattazioni commerciali della Roma del IV secolo. Costruito al centro di confluenza di importanti vie, vicino agli antichi moli e al Vicus Argentarii, la sede dei banchieri.

Arco di Giano | ©Fabio Magno

È conosciuto anche come Arcus Divi Costantini. Infatti alcuni studi recenti hanno chiarito che si tratta di un arco onorario voluto dai figli di Costantino.

Il nome Arco di Giano trae in inganno. Gli viene attribuito nel XVI secolo dagli studiosi di antiquaria. Ma con Giano non si intendeva la divinità bifronte del pantheon romano, ma il termine latino ianus = passaggio.

A differenza degli altri archi romani, questo presenta una base quadrata. Ve n’era un altro, vicino al Foro di Nerva. Ma è stato abbattuto. Quindi questo rimane un esemplare unico nel suo genere.

Infatti più che di un arco si tratta di un passaggio coperto dove i mercanti potevano svolgere in tranquillità e riservatezza gli affari.

La potente e nobile famiglia del Medioevo romano, i Frangipane, lo acquisisce e lo trasforma in una torre fortificata, murando i fornici. Questa probabilmente fu la sua fortuna.

Pare che Sisto V, papa nell’ultimo quarto del Cinquecento, abbia chiesto all’architetto Domenico Fontana di utilizzarne i marmi per costruire la guglia di San Giovanni in Laterano. Non se ne conosce il motivo, ma ciò non accadde.

La struttura massiccia | ©Fabio Magno

Massiccio con i suoi 14 metri di lato e i 16 di altezza, si innalza su 4 piloni con una volta a crociera e presenta 4 facciate e 4 aperture. I marmi bianchi ed il travertino che lo ricoprono sono di riuso e provengono da monumenti più antichi. Probabilmente un attico, oggi scomparso, completava la struttura.

Volta a crociera | ©Fabio Magno

Grandi statue, purtroppo perdute, decoravano le 28 nicchie lungo i 4 lati . Restano oggi, le piccole statue degli archi di volta. Gli studiosi hanno riconosciuto con certezza la Dea Roma sul fronte est e Minerva su quello nord. Le altre due dovrebbero essere Giunone (seduta) e Cerere (in piedi).

Una delle piccole statue sugli archi di volta | ©Fabio Magno

Salotto all’aperto

Questo bellissimo angolo del centro di Roma è stato, negli ultimi anni, utilizzato come salotto all’aperto. Meravigliosa location per incontri e dibattiti. Nell’estate 2019 ha ospitato i Dialoghi de L’Espresso.

L’anno prima, Alda Fendi ha omaggiato questa bellezza dell’antica Roma con una nuova illuminazione, creata appositamente dal maestro della luce, 3 volte premio Oscar, Vittorio Storaro e sua figlia Francesca.

Un ulteriore motivo per programmare la passeggiata al Velabro al tramonto.

Velabro – Fondazione Alda Fendi

A destra dell’arco, palazzo Rhinoceros, un progetto voluto fortemente da Alda Fendi che ha recuperato lo stabile, affidandone il rifacimento esterno ed interno, compreso l’arredamento, all’architetto Jean Nouvel. Al suo interno ospita la Fondazione Alda Fendi e la sua galleria di arte contemporanea.

La collezione crea un duplice dialogo. Interno alla collezione stessa che si articola sui diversi piani del palazzo. E con l’esterno dove il suo linguaggio contemporaneo incontra quello antico dei monumenti romani e della secolare storia del Velabro.

Ingresso della Fondazione | ©Francesca Boccini

Siamo infatti in un punto della città dove le lingue di epoche diverse si incontrano.

Se ci guardiamo intorno, nonostante sventramenti e grandi modifiche che l’area ha subito dagli anni ’30 del Novecento, le possiamo ascoltare tutte.

All’incrocio tra via del Velabro, via di San Giovanni Decollato e piazza della Bocca della Verità abbiamo templi e archi romani, chiese dei primissimi tempi della cristianità, palazzetti medievali restaurati con cura ed edifici dei secoli moderni. Una melodica babele.

Velabro – Casa dei Crescenzi

Attraversiamo la piazza per dedicare un momento ad un singolarissimo palazzo. Si tratta della Casa dei Crescenzi.

Casa dei Crescenzi | ©Fabio Magno

Abbiamo già parlato dei Crescenzi, la potente famiglia romana che, nel Medioevo, domina la sponda del Tevere alle pendici dell’Aventino, mentre i Mattei lo erano su quella opposta (qui la nostra passeggiata all’Aventino e quella nella Trastevere medievale).

Siamo davanti ad un meraviglioso esempio di architettura aristocratica del XI-XII secolo, voluta da Nicola, figlio di Crescenzio e Teodora.

Costruita in un punto strategico per il controllo dei mulini, si trovava anche all’accesso del Ponte Emilio di cui la famiglia faceva pagare il passaggio.

Per la sua costruzione sono stati impiegati materiali di antichi edifici e monumenti come era uso all’epoca. Tra cornici, mensole, capitelli ed iscrizioni si racconta della Roma dell’epoca.

L’iscrizione sul portone, incisa su un architrave di spoglio, enuncia lo spirito con cui è stata costruita la casa. 

Alla rinascita del decoro dell’antica Urbe (nel 1143 Senato Romano aveva riacquistato potere amministrativo) si affianca il tema moralistico della caducità di ogni gloria terrena.

L’edificio originario ha subito diverse modifiche nei secoli successivi, come è inevitabile. Dal XV secolo è stato abbandonato e, nell’Ottocento, addirittura utilizzato come stalla.

Acquisito prima dalla Chiesa e poi donato al Comune di Roma, oggi ospita il Centro Studi per la Storia dell’Architettura.

Andiamo ora concludendo la nostra passeggiata al Velabro, dirigendoci verso la chiesa di San Giorgio al Velabro. Non prima di esserci fermati ad ammirare la curiosa architettura addossata alla chiesa.

Velabro – Arco degli Argentari

Più che di un arco, si tratta di un maestoso ingresso al Foro Boario, l’antico mercato di bestiame.

Arco degli Argentari | ©Fabio Magno

Nell’iscrizione sull’architrave ci sono tutte le informazioni.

È stato innalzato nel 204 dalla corporazione dei banchieri (gli argentari) e dei commercianti di bestiame in onore della famiglia dei Severi.

Quindi Settimio Severo e la moglie Giulia Domna, i due figli Geta e Caracalla e a sua moglie Fulvia Plautilla. Si ipotizza fosse incluso anche il padre di Plautilla, Gaio Fulvio Plautiano prefetto del pretorio.

Di Geta Plautilla e Plautiano sono stati cancellati i nomi e le figure, quando furono condannati da Caracalla alla damnatio memoriae.

Probabilmente le due corporazioni avevano ricevuto dei benefici particolari dall’imperatore. Ecco il perché della donazione.

Soldati con prigioniero barbaro | ©Francesca Boccini

L’Arco è alto oltre 6 metri (il basamento risulta oggi interrato per quasi un metro), il passaggio è largo poco più di 3 metri. Ma l’aspetto più straordinario di questa struttura è la superficie completamente decorata a rilievo.

È rivestito di lastre in marmo greco elegantemente scolpite con i personaggi della dedica, incorniciati da elementi decorativi a racemi.

Nella parte interna: Settimio Severo e Giulia Domna, erano accompagnati (probabilmente) dal piccolo Geta, poi abraso.

Di fronte, Caracalla era tra Plautilla e Plautiano, cui è toccata la stessa sorte di Geta. Al di sotto, nei riquadri più piccoli, alcune scene di riti sacrificali. Al di sopra scene con Vittorie ed aquile che sorreggono festoni.

Riti sacrificali | ©Fabio Magno

Sul fronte: in alto a sinistra si riconosce la figura di Ercole (con la clava). Mentre sul lato esterno sono raffigurati dei soldati con prigioniero barbaro.

L’Arco è stato in parte inglobato dall’adiacente chiesa di San Giorgio al Velabro nel 683. Questo probabilmente lo ha preservato da spoliazioni o, peggio, dalla distruzione.

C’è una leggenda che si racconta da tempi antichi.

Pare infatti che dietro le lastre con le scene di sacrifici animali, i ricchi banchieri avessero nascosto un tesoro di monete e pietre preziose.

“Tra la vacca e il toro troverai un gran tesoro.” Così si raccontava. Ecco un probabile motivo dei buchi qua e là sparsi sull’arco.

Chiesa di San Giorgio al Velabro

Siamo giunti in fondo alla nostra passeggiata al Velabro.

Entriamo in quest’altro gioiello di arte romanica, ferito gravemente dallo scoppio di un’autobomba nella notte tra il 27 ed il 28 luglio 1993.

L’esplosione investì in pieno il portico. Ci sono voluti 3 anni di attenti restauri e ricostruzione per restituircelo.

San Giorgio al Velabro | ©Fabio Magno

Storia

Le origini di San Giorgio al Velabro non sono chiarissime. Un primo edificio sacro (una diaconia), costruito sui resti di una domus romana, risulterebbe già nel V secolo, intitolata ai Santi Giorgio e Sebastiano.

Nel VIII, quando viene rinvenuta la reliquia del teschio di San Giorgio nell’area del Laterano, viene trasportata qui con una solenne processione.  

La titolazione esclusiva a San Giorgio si affermerà a partire da questo momento. Dovuta alla preziosa reliquia, ma non solo. La comunità greca sin dai tempi più antichi si era stanziata in quest’area. All’epoca delle persecuzioni iconoclaste e monolitiche, vi trovano rifugio i monaci orientali in fuga. Per non parlare del fatto che qui erano di stanza le truppe bizantine e San Giorgio era il loro protettore.

Nel portico | ©Francesca Boccini

Papa Gregorio IV, nel IX secolo, ordina un restauro profondo del preesistente edificio. Nasce la chiesa, dedicata al culto, con un’annessa struttura destinata ai monaci ed una alle loro opere assistenziali.

Nel XIII secolo, come ci racconta anche l’iscrizione dedicatoria sul portico, il priore Stefano Di Stella opera delle modifiche importanti come l’apertura del rosone in facciata e l’aggiunta del nartece (portico). Un importante restauro della chiesa è voluto, poi, dal cardinale Stefaneschi tra 1296 e 1297.

Iscrizione dedicatoria | ©Fabio Magno

Come Santa Maria in Cosmedin, anche la chiesa di San Giorgio al Velabro alterna periodi di splendore a momenti di declino, anche dovuti alle condizioni dell’ambiente che la circonda. Negli anni ’20 del Novecento, Antonio Muñoz riporterà l’edificio sacro al suo aspetto romanico, come fece anche per Santa Prisca all’Aventino.

Interno

Si accede alla chiesa attraverso l’unico portale, incorniciato da antichi marmi romani scolpiti a girali d’acanto. L’interno della chiesa è suddiviso in 3 navate scandite da colonne di spoglio. Il soffitto dipinto è frutto di rifacimenti settecenteschi che hanno coperto il tetto a capriate.

Il pavimento non è più quello originale. Ma sia nel portico che all’interno della chiesa è possibile intravedere l’antico livello del piano di calpestio.

Interno | ©Fabio Magno

Il punto focale di San Giorgio è senza dubbio l’abside decorata con un prezioso affresco del 1296 che a lungo è stato attribuito a Giotto.

In realtà si tratta di un’opera di Pietro Cavallini che raffigura Gesù tra i Santi Giorgio, Maria, Pietro e Sebastiano.

Cavallini compone la scena ispirandosi al mosaico absidale del VI secolo della chiesa dei Santi Cosma e Damiano. Ma lo attualizza, aggiornandolo al linguaggio pittorico che, tra la fine del Duecento e l’inizio del Trecento, era sul punto di fare il grande balzo rivoluzionario con Giotto.

Il Cristo, al centro della scena, è raffigurato nell’antico gesto dell’adlocutio. In piedi, rialzato rispetto agli altri personaggi, con un rotolo in una mano, è raffigurato nel momento della predicazione.

Affresco di Pietro Cavallini | ©Fabio Magno

L’altare è rialzato rispetto all’aula. Al di sotto, la confessione (come abbiamo già raccontato nella Basilica di San Paolo fuori le Mura a Ostiense) in cui è conservata la preziosa reliquia della testa di San Giorgio.

L’altare è sormontato da un ciborio, capolavoro dei marmorai romani del XII secolo, con le sue tante colonnine a sostenere la copertura a piramide tronca.  

La nostra passeggiata al Velabro termina qui.

Nel luogo in cui si arenò la cesta di Romolo e Remo, all’ombra di un fico, nei pressi del Lupercale dove una pietosa lupa li allattò, salvandoli dalla fame.

Uno scorcio | ©Fabio Magno

Velabro – I sapori nei dintorni

Questa volta il nostro consiglio è di fermarvi per un aperitivo, con vista davvero unica.

All’inizio di via del Velabro c’è Anima Mundi, un piccolo cocktail bar con tavoli all’aperto con vista Arco di Giano. Un angolo di pace e tranquillità per godersi i meravigliosi colori dei tramonti romani. Un tagliere misto per accompagnare i nostri cocktail ed una particolare attenzione nella selezione delle etichette. Bravi!


Velabro – Info utili

Ecco quanto ti serve per programmare la tua passeggiata al Velabro. Desideri saperne più? Commenta qui sotto o contattaci sui social! Apri la mappa qui sotto e ottieni il percorso.

  • Basilica di Santa Maria in Cosmedin. Aperto: tutti i giorni. Orario: dalle 9:30 alle 18.
  • Chiesa di San Giorgio al Velabro. Aperto: tutti i giorni. Orario: dal lunedì al venerdì dalle 7 alle 18:15. Sabato e domenica: dalle 7:45 alle 18:15.
  • Tempio di Ercole Vincitore. Aperto: la 1° e la 3° domenica del mese. Chiuso: agosto. Ingresso con visita guidata. Biglietto: € 5,50 (+ € 2 diritti di prevendita). Gratuito: under 12 anni. Nel programma è compresa anche la visita al Tempio di Portuno.

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2 commenti

angela de santis 10 Luglio 2021 - 7:30 am
Complimenti !!!!!! Viaggiare con voi è splendido... per la vostra accuratezza nei particolari e per l'entusiasmo che trasmettete.... Grazie...
Francesca e Fabio 10 Luglio 2021 - 9:31 am
Grazieee!!!

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