Testaccio quest’anno compie cento anni. Anzi, li ha compiuti lo scorso anno anno, ma causa Covid i festeggiamenti sono stati posticipati.
Sembra che sia là da sempre, il Rione XX di Roma. Invece il quartiere dal cuore giallo-rosso e l’anima verace nasce ufficialmente il 12 dicembre 1921.
Dal 1 aprile al 4 dicembre 2022 tutto Testaccio si trasforma in palcoscenico con un calendario di eventi, mostre, performance, gastronomia racchiusi nella manifestazione Testaccènto.
Uno dei luoghi preferiti della movida romana, meta degli amanti della cucina tipica romana.
Dalle storiche trattorie di Checchino dal 1887 a Felice a Testaccio, ai nomi noti come Angelina e Flavio al Velavevodetto. O l’innovativo Collettivo Gastronomico, nato nel 2021 dalla collaborazione tra Marco Morello della friggitoria Food box del mercato locale ed i fratelli Camponeschi dell’osteria Menabò Vino e Cucina.
Testaccio ti prende per la pancia, ma ti conduce per mano attraverso una storia secolare che qui, come sempre a Roma, stratifica un’epoca su un’altra.
Testaccio – Il toponimo
Tagliamo subito la testa al toro: qui, secoli prima del quartiere moderno, c’era il porto fluviale della Roma Imperiale.
Vi giungeva ogni ben di dio proveniente dalle province dell’impero, trasportato in anfore.
Quando non si poteva più riutilizzarle, venivano fatte in cocci (in latino testae), accumulate in un punto e cosparse di calce.
Si sono accumulati talmente tanti cocci (si parla di circa 25 milioni di anfore) che in quel punto si è generata una collinetta artificiale alta 35 metri, indicata sin dal Medioevo col nome di Monte Testaccio (lat. Mons Testaceum) ovvero monte fatto di cocci.
Itinerario
Porta San Paolo – Piramide Cestia
La nostra passeggiata a Testaccio inizia a Porta San Paolo che segna il confine con il limitrofo quartiere di Ostiense.
La protagonista però di questo incrocio è la Piramide Cestia, uno dei più singolari monumenti antichi visibili a Roma.
Si tratta del monumento funebre di Caio Cestio, pretore e tribuno della plebe vissuto nel I secolo a.C.
Larga 30 metri ed alta 36, è incastonata nelle Mura Aureliane che delimitano il Cimitero Acattolico.
Nell’iscrizione su uno dei fianchi della piramide è riportato che fu costruita in meno di 330 giorni, tra il 18 ed il 12 a.C.
Pare infatti che Caio Cestio avesse lasciato nelle sue volontà che i suoi eredi innalzassero un sepolcro in sua memoria entro questo lasso di tempo, pena: la perdita dell’eredità. E così fecero.
Cimitero Acattolico
Non sarà forse un caso, ma a poche decine di metri dalla Piramide Cestia si trova un altro luogo di riposo eterno.
Il Cimitero Acattolico è un angolo di Roma dal fascino suggestivo e dalle atmosfere rarefatte.
Sarà inusuale passeggiare tra le memorie di chi è passato prima di noi, ma vi assicuro che abbiamo trovato tanti visitatori.
Ci saranno stati i curiosi, qualcuno venuto a trovare una persona cara, ma c’era anche chi, seduto su una panchina, leggeva un libro nel tiepido sole di una mattinata autunnale.
Il Cimitero degli Inglesi, come lo chiamavano i romani all’inizio, nasce ufficialmente nel 1716 con la prima sepoltura ufficiale: quella di William Arthur, giunto a Roma al seguito del re esule Giacomo Stuart.
Per spiegare bene la questione, dobbiamo ricordare che secondo la chiesa cattolica, tutti i credenti di altre religioni e coloro che avevano vissuto nel peccato non potevano essere sepolti in terra consacrata.
Prostitute, ladri, truffatori, criminali e suicidi trovavano sepoltura in fosse comuni nel cosiddetto cimitero dei disperati lungo l’odierno Muro Torto.
Poiché erano molti gli stranieri, in particolare gli inglesi, che vivevano (e morivano) a Roma, ottennero, nel 1671, dal Sant’Uffizio una delibera che gli permetteva di utilizzare quest’area per la loro sepoltura, così da non mischiarsi con uomini e donne di “malaffare”.
Oggi è un luogo inusuale che ha accolto credenti ed atei, poeti ed artisti, scrittori e politici, personaggi illustri e persone qualunque.
Come nei cimiteri anglosassoni non ci sono fotografie, ma lapidi nomi e frasi, motti, poesie a ricordare chi vi dimora.
Attraversando i suoi vialetti ci si immerge in una selva di croci ognuna diversa dall’altra, guglie, edicole e sculture.
Pare quasi di camminare in un museo all’aperto dove, in rispettoso silenzio, lo sguardo corre, indugia su un nome, si chiude in un doveroso ringraziamento.
Via Marmorata e la Caserma dei Vigili del Fuoco Alberto De Jacobis.
Tornando allo scorrere della confusionaria vita cittadina, imbocchiamo via Marmorata, l’ampia strada che collega Porta San Paolo al Tevere.
Non tutti lo sanno, ma ci parla della storia antica di Testaccio.
Lungo quest’asse, infatti, vennero accumulate grandi quantità di marmi provenienti dalla province dell’Impero Romano.
Una sorta di cava a cielo aperto dove per secoli i romani sono venuti a prelevare materiale per utilizzarlo nelle varie costruzioni.
Lungo la prima parte della via, all’angolo con via Galvani, troviamo la caserma dei Vigili del Fuoco Alberto De Jacobis.
Costruita tra il 1925 ed il 1928, il progetto dell’architetto Vincenzo Fasolo (che abbiamo già visto all’opera nel contesto completamente diverso della Casina delle Civette, ne parliamo qui durante la nostra visita a Villa Torlonia) fonde insieme funzionalità, linee razionaliste e materiali locali.
Al suo interno il Museo Storico dei Vigili del Fuoco dove sono esposti materiali fotografici e documentali, mezzi ed attrezzature che raccontano l’evoluzione di questo prezioso servizio di soccorso. Una sezione è dedicata ai grandi incendi della storia di Roma.
Da via Marmorata giriamo su via Manunzio ed entriamo nel cuore del Rione Testaccio.
È il caso ora di parlare un po ‘ di storia perché qui – prima di tutto ciò – c’era il porto di Roma: l’Emporium.
Testaccio – L’Emporium
Nell’antichità tutta l’area di Testaccio era occupata dal nuovo porto di Roma, dai suoi magazzini e da spazi commerciali, come ad esempio la Porticus Aemilia.
Come abbiamo raccontato nella nostra passeggiata ad Ostia Antica (qui trovi l’articolo), tutte le merci giungevano a Roma via mare e venivano trasferite in città su chiatte lungo il Tevere, trainate da buoi, ma anche da schiavi.
Il primo approdo di cui ci è giunta notizia, il porto Tiberino, si trovava alle pendici dell’Aventino, al Velabro, nel luogo dove secondo la tradizione la lupa allattò Romolo e Remo (qui raccontiamo della nostra passeggiata).
Nel II secolo a.C. il porto risulta però insufficiente per i traffici della capitale di un impero in continua espansione.
Così nel 193 a.C. gli edili curuli Marco Emilio Lepido e Lucio Emilio Paolo costruiscono l’Emporium che, nel 174 a.C. viene lastricato e dotato della Porticus Aemilia, un grande magazzino per le derrate alimentari.
L’intensa attività dello scalo va avanti finché non entrano in funzione, sulla costa, il porto di Claudio e poi quello di Traiano (qui la nostra visita) per ridimensionarsi a funzione di semplice deposito.
A memoria resta, ad esempio, il nome di via Marmorata di cui abbiamo scritto sopra.
Ma anche tanti punti in cui i resti affiorano dagli strati più profondi. Proprio per riscoprire e mostrare questa memoria è nato il Museo Diffuso del Rione di Testaccio che istituisce un percorso ideale per ricostruire la memoria antica dell’area.
Piazza Testaccio
Siamo arrivati in Piazza Testaccio. E dopo aver parlato della storia antica, parliamo di quella più recente.
All’indomani dell’Unità d’Italia, nel 1870, lo stato sabaudo avvia una profonda trasformazione della città, a partire dal suo volto economico.
Finché Roma era stata capitale dello Stato della Chiesa infatti l’economia si basava in pratica sulla rendita fondiaria e l’assistenzialismo. Traghettare Roma nella modernità significava darle un nuovo ruolo produttivo e una nuova stratificazione sociale.
L’adiacente area di Ostiense è destinata a diventare un polo industriale (qui trovi la nostra passeggiata per il quartiere) e la zona di Testaccio ne diventa la propaggine residenziale, dove si trovano gli edifici in cui abitano maestranze operaie.
Si distinguono almeno grandi 3 fasi edilizie.
La prima detta delle case alveare tra 1883 e 1905, la fase dei progetti degli ingegneri Giulio Magni e Quadrio Pirani per l’Istituto Romano delle Case Popolari tra il 1909 ed il 1917 e quella del 1930 con la costruzione degli eleganti edifici di via Marmorata progettati da Sabbatini e Costantini.
Passeggiando nelle vie del quartiere si possono ancora distinguere gli edifici delle diverse fasi.
Al centro di piazza Testaccio, uno dei cuori del rione XX, campeggia la Fontana delle Anfore.
L’opera dell’architetto Pietro Lombardo, risultata vincitrice di un concorso pubblico ed inaugurata il 26 ottobre 1927.
Interamente in travertino, la sua forma richiama fortemente l’accumulo di anfore da cui nasce il Monte dei Cocci ed è proprio l’anfora ad essere adottata come simbolo del quartiere.
La fontana è tornata nella sua collocazione originaria nel 2014, dopo essere stata spostata nel 1935 per motivi di stabilità della pavimentazione della piazza. Per decenni era stata ridotta a misero spartitraffico in piazza dell’Emporio.
Piazza Santa Maria Liberatrice
L’altro cuore di Testaccio è la piazza su cui si affaccia la chiesa parrocchiale, voluta da papa Pio IX e costruita tra 1906 e 1908. L’edificio di epoca contemporanea non ha un valore artistico assimilabile ai tesori architettonici della Chiesa Romana.
Ma a livello devozionale è molto importante.
Nel 1900 infatti nel Foro Romano viene abbattuta la chiesa di Santa Maria Liberatrice che, nel XIII secolo, era stata costruita sulle rovine di Santa Maria Antiqua, il primo edificio di culto della storia dedicato alla Madonna.
Quando si decide l’abbattimento, il titolo di Santa Maria Liberatrice viene trasferito alla nuova chiesa insieme ad alcuni stucchi e decorazioni ed all’antica immagine Sancta Maria libera nos a poenis infernii, che ancora oggi campeggia sull’altare.
Il Mercato di Testaccio
Sulla strada verso il mercato rionale di Testaccio ci perdiamo un po’ tra le vie, andando a recuperare le nostre memorie cinematografiche di bambini davanti alla casa del ragionier Fantozzi in via Bodoni. E incappando, casualità della vita, in un set di riprese di un film ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale.
Il mercato è stato spostato nel 2012 nell’isolato compreso tra via Beniamino Franklin, via Alessandro Volta, via Aldo Manuzio, via Lorenzo Ghiberti, prima si trovava in piazza Testaccio.
È un’immersione totale nella vita del quartiere, nei suoi odori, gusti, colori e voci. Imprescindibile un passaggio, anche se non dovete fare la spesa (ed è un peccato perché ci sono un sacco di cose buone).
Prima di raggiungere la prossima tappa, ci fermiamo a osservare The Jumping Wolf dell’artista belga ROA.
Il grande murale esteso su tutto il fianco di un edificio di via Galvani contiene a stento la grande lupa, emblema di una Roma che vuole saltare oltre pregiudizi e preconcetti che la vorrebbero tenere costretta.
Pensato, voluto e organizzato da 999Contemporary, è un’opera di arte urbana che rientra nel Festival delle Avanguardie Urbane Roma Street Art 2014, realizzata con il patrocinio del Municipio e finanziata con capitali privati.
Ex – Mattatoio
Il Mattatoio è l’unico stabilimento di produzione impiantato a Testaccio, oltre i confini dell’industriale Ostiense.
Un preesistente impianto esisteva in piazza del Popolo che doveva essere dismesso.
Nel 1888 Gioacchino Ersoch inizia a lavorare al progetto del nuovo stabilimento. A questo, l’ingegnere Filippo Laccetti contribuisce con alcuni interventi innovativi. I lavori iniziano lo stesso anno e prevedono il riuso di parte dei materiali del mattatoio di piazza del Popolo.
Il progetto prevede una suddivisione a seconda delle principali funzioni: stalle, rimessini, macelli, tripperia, pelanda dei suini, il campo boario suddiviso tra animali domiti e indomiti.
Inaugurato il 1° dicembre 1891, l’ex-mattatoio oggi è uno splendido esempio di archeologia industriale.
Capannoni dove si vedono ancora i sistemi di sollevamento e il trasporto delle carni, i cancelletti per far passare i lavoratori, ma non gli animali. Un impianto immenso, un luogo incredibile, dismesso nel 1975.
Negli ultimi anni ha visto diversi interventi di recupero, senza però un progetto corale.
Oggi ospita il Dipartimento di Architettura di Roma Tre e alcuni ambienti dell’Accademia di Belle Arti, uno spazio espositivo e performativo gestito dall’Azienda Speciale Palaexpo – il Mattaoio – nonché la Scuola musicale Popolare di Testaccio.
L’area dove era un tempo il campo boario è oggi la Città dell’Altra Economia.
La storia ci racconta che gli operai del mattatoio erano pagati, in parte, con gli scarti degli animali macellati.
Quello che oggi chiamiamo quinto quarto.
Uscendo dallo stabilimento li portavano a cucinare nelle grotte del Monte dei Cocci. Pare siano nate così molte delle ricette più conosciute della cucina tradizionale romana come la trippa, la coda alla vaccinara, la pajata e le frattaglie.
Ed è qui che terminiamo la nostra passeggiata a Testaccio: nel posto più significativo del rione nonché una delle attrazioni più singolari di tutta Roma.
Monte dei Cocci
Anche se non potete entrare (come noi) perché non avete prenotato la visita allo 060608 (ma forse un posto del genere meriterebbe di essere sempre aperto e visitabile), girategli intorno.
Dalle strade che lo lambiscono si vede benissimo l’ordinata composizione dei cocci sovrapposti uno sull’altro che ne costituiscono la forma. Si resta davvero a bocca aperta!
Comunque sappiate che questo luogo è da secoli un punto d’attrazione.
Già dal Medioevo, quando tutto qui intorno era aperta campagna e si vedevano solo orti e vigne e la zona era chiamata i “pratoni dei romani”.
La sua sommità era il punto di arrivo della Via Crucis che, all’epoca, prendeva il via da Bocca della Verità. A ricordarlo in cima svetta, dal 1914, una croce in ferro.
Ma qui si svolgevano anche i Ludus Testaccie, giochi del carnevale, che richiamavano una grande folla. Se ne parla per la prima volta nel Liber polypticus scritto tra 1140 e 1143 Da Benedetto, canonico di San Pietro.
I ludi si trasformano fino a diventare una sorta di cruenta tauromachia che consiste nel liberare un toro seguito da carri carichi di maiali con i partecipanti al feroce “gioco” che attendevano le bestie in fondo al colle, armi alla mano, per mattarli.
È per secoli rifugio dei romani dalle frequenti inondazioni del Tevere e, nel Seicento, lungo il suo pendio orientale sarà collocato un bersaglio per le esercitazioni dei bombardieri di Castel Sant’Angelo che avevano il loro cannone vicino alla Piramide Cestia.
In quest’epoca i romani iniziano ad utilizzarlo come un’enorme cantina per la conservazione dei prodotti, primo su tutti il vino.
Quest’uso sicuramente costituisce l’alterazione più impattante perché nel ventre del monte vengono scavate delle grotte che ne minano la stabilità. Tanto che nel 1742 e nel 1744 papa Benedetto XIV emana due editti che vietano scavo e asportazione di cocci dal monte.
É il periodo in cui si inizia a diffondere l’usanza tutta locale dell’ottobrata romana.
Testaccio – Ottobrata romana
In tanti pensiamo che con ottobrata ci si riferisca al bel clima che si gode a Roma in ottobre.
Invece l’ottobrata romana era un vero e proprio rito che concludeva il periodo della vendemmia.
I romani si dirigevano fuori porta – Pia, San Giovanni o San Pancrazio – a ponte Milvio, Monteverde e soprattutto a Testaccio, dov’erano le tante cantine in cui era conservato il vino.
Lunghe carovane di romani si muovevano dai rioni.
Chi poteva permetterselo organizzava le “carrettelle”: carrozze bardate a festa dove trovavano posto fino a 10 ragazze, la più bella – la bellona – era seduta accanto al carrettiere. Parenti ed amici le scortavano, suonando e ballando.
L’ottobrata si svolgeva di domenica e giovedì ed era un momento di festa e di eccessi: si mangiava e si beveva, si suonava, si giocava e si ballava il tipico “saltarello”.
Pare che vi avesse preso parte anche Casanova durante un suo soggiorno romano, rimanendone conquistato.
Testaccio cuore giallorosso
Il nostro giro si conclude a via Nicola Zabaglia, davanti al cartello che ricorda il luogo dov’era il primo campo da gioco della A.S. Roma dal 1929 al 1940. Un po’ di nostalgia mi assale.
Non siamo grandi tifosi in famiglia, ma ricordo bene quando un nonno entusiasta mi raccontava di una giovinezza speranzosa, passata sul terreno da gioco.
Mio nonno non era un testaccino, ma militava, insieme ad uno dei fratelli, nelle giovanili della Roma. Era uno dei suoi ricordi più belli e l’emozione della maglia riusciva a trasmetterla tutta.
Testaccio – I sapori nei dintorni
Siamo in uno dei templi della cucina tradizionale romana.
Come detto all’inizio, i ristoranti a Testaccio sono moltissimi. Noi però abbiamo optato per fare uno spuntino al Mercato Rionale di Testaccio.
Non è stato semplice scegliere cosa mangiare. Si va dalla pescheria che prepara piatti al momento, al forno con le classiche lingue di pizza rossa. Dal box con i primi fatti in casa, alla pizza al taglio.
Abbiamo scelto i panini di Mordi e Vai, farciti con alcune ricette tradizionali.
Non potevamo non assaggiare le fragranti ciabatte romane, leggermente bagnate nei sughi delle preparazioni e riempite con trippa (per me) e rognoncino di vitella (per Fabio). Due polpette di allesso, perché quando si trovano non si possono non prendere, ed una birra ad accompagnare il tutto. Da leccarsi i baffi!
Il Mercato di Testaccio è una realtà molto attiva e propone sempre tante iniziative come gli Open Day mensili con apertura del mercato dalle 7 del mattino a mezzanotte, intrattenimento e visite guidate agli scavi sotterranei.
Testaccio – Info utili
Ecco quanto ti serve per programmare la tua passeggiata a Testaccio. Se desideri saperne più, commenta qui sotto o contattaci sui social! Apri la mappa e ottieni il percorso.
- Museo diffuso di Testaccio. Per orari e modalità di prenotazione, visitare il link.
- Monte Testaccio . Singoli visitatori con prenotazione allo 060608 dalle ore 9 alle 19. Biglietto intero € 4, ridotto € 3. Ingresso gratuito possessori MIC Card.
- Chiesa di Santa Maria Liberatrice. Apertura dalle 6:45 alle 12 e dalle 16 alle 19:30
- Museo Acattolico. Aperto tutti i giorni. Dal lunedì al sabato dalle 9 alle 17 (ultimo ingresso 16:30). Domenica e festivi dalle 9 alle 13 (ultimo ingresso 12.30). Gruppi su prenotazione obbligatoria. Biglietto: ingresso gratuito. Ci teniamo a sottolineare che il Cimitero Acattolico si sostiene in autonomia grazie alle donazioni dei visitatori.
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